Comunicato Stampa Casa delle Donne contro la violenza 13/01/2025

Pubblichiamo il Comunicato Stampa redatto in seguito alla lettura delle motivazioni della sentenza che il 9 ottobre 2024, presso il Tribunale di Modena, ha riconosciuto Salvatore Montefusco responsabile di duplice femminicidio avvenuto in un contesto di maltrattamenti in famiglia ai danni di Trandafir Renata Gabriela e Trandafir Renata Alexandra avvenuto il 13 giugno 2022:

 

Abbiamo letto le motivazioni della sentenza che il 9 ottobre 2024 presso il Tribunale di Modena, ha riconosciuto Salvatore Montefusco responsabile di duplice femminicidio avvenuto in un contesto di maltrattamenti in famiglia ai danni di Trandafir Renata Gabriela e Trandafir Renata Alexandra avvenuto il 13 giugno 2022.

Come Centro antiviolenza abbiamo presidiato tutte le udienze del procedimento penale, dove la nostra Associazione Casa delle Donne contro la violenza si è costituita parte civile, e abbiamo ascoltato tutte le testimonianze, e preso atto che le due donne e il figlio minore vivevano all’interno di un contesto familiare di gravissima tensione ed esasperazione reciproca, che, se pur divenuto intollerabile per entrambi i coniugi, ha avuto esiti estremamente differenti.

La donna arrivata al culmine della situazione relazionale insostenibile aveva preso la decisione di separarsi, affidandosi alla legge; ricordiamo che la prima udienza per la causa del divorzio si sarebbe dovuta tenere il giorno stesso del duplice femminicidio.

Mentre Gabriela ed Alexandra chiedevano l’aiuto della legge per dirimere una situazione che il figlio minore ha definito “una guerra in casa”, il femminicida ha preso la decisione di munirsi di un arma – che non poteva detenere perché gli erano state requisite le numerose armi dai Carabinieri a seguito delle denunce della donna per maltrattamenti – e nonostante l’illecita detenzione del fucile a canna mozza con matricola abrasa, ha deciso freddamente di colpire prima la giovane figlia della moglie e poi la moglie stessa, in una sequenza agghiacciante, senza possibilità di via di fuga, proprio nel giorno in cui il tribunale civile avrebbe, con tutta probabilità, decretato il suo allontanamento dalla casa coniugale.

Ci sono state scelte diametralmente opposte poiché la donna desiderava portare il conflitto nelle legittime sedi, dando la possibilità di una nuova vita per entrambi e i rispettivi figli, mentre la scelta dell’uomo di agire la violenza estrema, determinata e spietata e irrimediabile del duplice femminicidio a colpi di fucile fino alla morte certa, ha tolto la vita a due persone, e contemporaneamente ha tolto la madre e la sorella ad un ragazzo all’epoca dei fatti minorenne e due donne ai loro affetti e alle loro famiglie.

Si è trattato di una esecuzione “patriarcale”, in cui l’uomo pianifica ed agisce la violenza peggiore per punire due donne che avevano osato fargli causa per la separazione e per l’assegnazione della casa, due donne che non avevano forse più paura di lui.

Desideriamo inoltre esprimere il nostro stupore e delusione per le parole usate nelle motivazioni della sentenza, in cui sono presenti numerosi stereotipi sulla violenza maschile sulle donne, in cui le vittime, se reagiscono, se sono capaci di ribellarsi e agire a loro volta comportamenti assertivi, non sono più vittime, ma colpevoli di aver esasperato l’uomo, che da carnefice diventa vittima. La Corte di Assise ha ritenuto che il movente dell’azione criminosa fosse nella “incomprimibile rabbia …derivante dalla personale percezione di aver subito una immeritata e profonda ingiustizia …e nella incomprimibile necessità di rimediare a tale ingiustizia…”. Nella nostra esperienza, tutti gli autori di violenza vivono come “ingiustizie” gli allontanamenti da casa a seguito dell’assegnazione della casa familiare, poiché non ritengono che le mogli abbiano alcun diritto rispetto ai beni familiari, anche se tali diritti sono legati alla tutela dei figli e anche se la fine della relazione è legata al loro essere uomini violenti.

In diversi momenti del procedimento penale abbiamo ascoltato la parola “conflitto”, “relazione conflittuale”, e nelle motivazioni si parla di “nefaste dinamiche familiari”. Ciò che vogliamo asserire con forza è che il conflitto non prevede l’annullamento e la cancellazione dell’altro.

Se una delle due parti viene uccisa, questo non è conflitto, ma è la prova della disparità di potere esistente e della violenza presente nella relazione.

Esiste un confine che separa la possibilità di una soluzione, pur complessa, dalla violenza femminicida.

Auspichiamo che le donne che si rivolgono ai Centri antiviolenza per intraprendere percorsi di fuoriuscita dalla violenza maschile, abbiano questa possibilità, per prevedere per tempo le pericolose accelerazioni della violenza, che sono tipiche e frequenti quando si avvicinano le udienze.

 

Modena 13/01/2025

Casa delle Donne contro la violenza