Comunicato stampa coordinamento regionale Emilia Romagna sul riparto fondi
Mercoledì 09 luglio 2014
LE DONNE MALTRATTATE DALLA POLITICA
Riparto dei fondi stanziati per la lotta alla violenza: il
Coordinamento dei centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna denuncia il
rischio di penalizzare il lavoro ventennale delle associazioni
Tra circa un mese diventerà effettivo lo stanziamento di 17 milioni di
euro previsto dalla legge 119/2013 (la cosiddetta “legge contro il
femminicidio”) per il biennio 2013-2014. I fondi sono destinati alla
prevenzione e alla lotta contro la violenza sulle donne.
Ma a chi andranno le risorse stanziate e come ne beneficerà la lotta
alla violenza sulle donne? Il 67% del finanziamento sarà gestito dalle
Regioni e solo il 33% andrà ai centri antiviolenza, che riceveranno
circa seimila euro ciascuno per il biennio. Una cifra irrisoria e del
tutto insufficiente a coprire le necessità effettive dei centri, a
incrementarne la possibilità di intervento o incentivarne la
progettualità.
L’esiguità degli stanziamenti non è l’unico problema. Desta
indignazione l’assenza di un criterio coerente e ponderato di
ripartizione dei fondi e il mancato riconoscimento del lavoro dei centri
antiviolenza. La maggior parte dei fondi andrebbe, infatti, alle
Regioni, che avrebbero il compito di finanziare generici progetti
“contro la violenza”. Il rischio è quello di disperdere risorse e
distribuire i fondi a soggetti poco competenti, anziché destinarli a
quelle associazioni che lavorano da tempo e efficacemente sui territori.
Il Coordinamento dei centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna aderisce
alla manifestazione nazionale di protesta promossa dall’associazione
D.i.Re (Donne in Rete contro la violenza) per il giorno 10 luglio a
Roma. Nonostante le recenti dichiarazioni della Assessora regionale alle
Politiche sociali, Teresa Marzocchi, sembrino garantire in
Emilia-Romagna un utilizzo mirato dei fondi previsti dal decreto, resta
la necessità di sostenere il lavoro dei centri antiviolenza a livello
nazionale. La posizione della Regione Emilia-Romagna può costituire un
“precedente virtuoso”, ma non garantisce altre realtà territoriali in
altre regioni. Il mancato riconoscimento di D.i.Re quale interlocutore è
un altro motivo non trascurabile della protesta.
Il lavoro di contrasto e prevenzione della violenza maschile contro le
donne non si improvvisa: si basa su competenze specifiche, strategie e
metodologie di intervento condivise e frutto di anni di esperienza,
ricerca e confronto. Un approccio focalizzato sulla donna e sul suo
diritto alla autodeterminazione.
La lunga storia dei centri antiviolenza in Italia è un cammino politico
e teorico, un incessante lavoro di apprendimento, un prezioso
laboratorio di elaborazione e raccolta di saperi e pratiche a sostegno
delle donne che subiscono violenza. Una superficiale ripartizione di
fondi, già insufficienti, rischia di penalizzare il lavoro decennale
delle associazioni, danneggiando così il lavoro delle donne contro la
violenza e le donne stesse.
Coordinamento dei Centri antiviolenza
dell’Emilia-Romagna
• Casa delle donne per non subire violenza – Bologna
• Vivere Donna – Carpi
• SOS Donna Onlus – Faenza
• Centro Donna Giustizia – Ferrara
• Trama di Terre – Imola
• Demetra Donne in aiuto Onlus – Lugo
• Casa delle donne contro la violenza – Modena
• Centro Antiviolenza Onlus – Parma
• La Città delle Donne – Piacenza
• Linea Rosa Onlus – Ravenna
• Rompi il silenzio Onlus – Rimini
• Nondasola – Reggio Emilia
• Sos Donna – Bologna
Comunicato DiRe sul riparto fondi. 3 luglio 2014
Basta con l’apertura di centri antiviolenza senza qualifica e storia: le donne hanno bisogno di
approcci di libertà
L’associazione nazionale D.i.Re Donne in Rete, che rappresenta 67 centri antiviolenza, si mobilita contro
il riparto dei finanziamenti che verrà discusso alla prossima Conferenza Stato – Regioni del 10 luglio.
Saremo presenti per far sentire la nostra voce.
I Centri antiviolenza che da oltre vent’anni operano in Italia, riconosciuti come luoghi di buone pratiche
per fronteggiare il fenomeno della violenza contro le donne, non possono essere liquidati con quattro
soldi. La storica esperienza e competenza di questi luoghi deve rappresentare un punto di partenza per
tutti.
La distribuzione dei fondi non è chiara, temiamo che siano distribuiti con criteri “politici” disperdendo le
già scarse risorse messe in campo.
E’ evidente che i Centri, che da oltre vent’anni lavorano in Italia con le donne, finiranno per avere
finanziamenti irrisori mentre si cerca di creare un sistema parallelo di centri istituzionali con competenze
improvvisate le cui procedure ancora “ingessate” in rigidi criteri burocratici, non saranno in grado di
rispondere alle domande delle donne vittime di violenza. In particolare: anonimato, ascolto competente e
privo di giudizio, rispetto della loro volontà.
La storica esperienza e competenza dei luoghi di donne deve rappresentare il punto di partenza
per le istituzioni per costruire una politica che guardi all’esperienza nata dai Centri Antiviolenza,
riconoscendone tutto il valore in quanto luoghi di libertà e autodeterminazione delle donne. Nei centri
istituzionali c’è il rischio che prevalga la burocrazia, gli aspetti giudicanti e formalizzati, che non
garantiscono l’anonimato e l’ascolto dei desideri della donna, rispettandone i tempi e le scelte.
Non a caso la Convenzione di Istanbul individua nelle Associazioni di Donne il luogo privilegiato di
risposta al fenomeno in quanto portatrici di una forte motivazione e capaci di mettere in campo iniziative
utili ad un cambiamento
I Centri Antiviolenza ritengono che la generica modalità di impiego delle risorse economiche indicate dal
piano di ripartizione dei fondi, non solo non porti alcun cambiamento nelle pratiche dei servizi e di
conseguenza nella cultura sociale ma al contrario si incrementi il rischio per le donne che subiscono
violenza e che decidono di allontanarsene di non essere sostenute adeguatamente.
I centri antiviolenza chiedono
• che i criteri di riparto dei finanziamenti siano ridiscussi e condivisi con i centri antiviolenza nel
rispetto delle raccomandazioni europee.
• che i centri antiviolenza pubblici siano, in questa prima fase, esclusi dal riparto dei fondi: la
Convenzione di Istanbul che entrerà in vigore il 1° agosto, sostiene che i governi devono
privilegiare le azioni dei centri antiviolenza privati gestiti da donne in quanto servizi indipendenti.
• che nella distribuzione siano compresi solo i centri antiviolenza gestiti da realtà del privato
sociale attive da almeno 5 anni e che il finanziamento premi maggiormente i centri antiviolenza
che operano da più anni valutando i curricula, i progetti svolti e il tipo di intervento che
garantiscono.
• Che ci sia una forte raccomandazione alle Regioni di utilizzare i finanziamenti in aggiunta ai
quelli che le amministrazioni regionali dovranno stanziare.
Roma, 3 luglio 2014