Il Coordinamento dei centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna racconta la storia di Ishrak, uccisa dalla violenza maschile
Questa è la storia di Ishrak, ma potrebbe essere la storia di Maria, Svetlana, Ioana o Nancy. Nomi che richiamano sapori e colori diversi e che sono accomunati da una sola cosa: essere nomi di donna. Ishrak Amine aveva 21 anni e il 4 ottobre scorso è stata uccisa a Mesola da suo padre, Mohammed Amine, che poi si è tolto la vita. Una sequenza che i media etichettano come omicidio-suicidio ma che è una riconoscibile dinamica del femicidio. Il Coordinamento dei centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna ricorda che nel 2015 sono già quattro le donne a essere state uccise dalla violenza maschile in Emilia-Romagna. Padri, partner o ex partner che uccidono le donne e che poi si suicidano. Tutti hanno in comune prima di tutto una cosa: l’essere uomini.
La maggior parte dei media locali si è invece soffermata sull’etnia marocchina della famiglia di Ishrak e sulla fede musulmana del femicida. Il padre non avrebbe accettato la libertà della figlia in quanto marocchino e musulmano. Viene implicitamente suggerito che il problema non riguarda gli uomini italiani, occidentali e non musulmani. Ma è davvero così? I dati raccolti dalla Casa delle donne di Bologna per il 2013 ci dicono che il 71% dei femicidi in Italia è commesso da italiani. Non riconoscere alla propria figlia, sorella, partner o ex partner il diritto all’autodeterminazione è un problema maschile che accomuna uomini di ogni appartenenza culturale, credo, posizione sociale.
Altri giornalisti hanno ripreso il fatto come un caso di “follia in famiglia” e si chiedono cosa possa aver mutato improvvisamente “quel quadro di serenità e amore”. E invece da raccontare non c’è un raptus di violenza improvvisa ma una lunga storia di abusi che Ishrak e sua madre Zachya subivano da anni.
Luisa Beltrami, amica di infanzia di Ishrak, la ricorda come una ragazza forte e indipendente: “Nonostante vivesse quella situazione, Ishrak non si sentiva inferiore agli uomini. Era andata via dal paesino in cui abitiamo per andare a studiare a Verona, cosa che richiede un bel grado di indipendenza. Mi ha sempre stupito la forza che aveva nel cercare di portare avanti la sua vita indipendentemente dalla sua famiglia”.
Ishrak ricorda tante ragazze della sua generazione: determinate, amanti dello studio, piene di progetti per il futuro. Questo nonostante fosse stata prima una bambina e poi un’adolescente vittima di violenza assistita. La storia di Ishrak ci fa riflettere su un tratto fondamentale della violenza contro le donne: denunciare è difficile. Nonostante la forza e il coraggio delle donne che subiscono violenza, hanno la meglio la paura di ritorsioni, la vergogna, il timore di peggiorare il delicato equilibrio dei rapporti familiari. Paure e timori rafforzati dall’indifferenza e dalla tendenza della società a legittimare culturalmente il rapporto di dominio degli uomini rispetto alle donne.
Ecco perché sono fondamentali le parole di Luisa, che pensando a come prevenire il fenomeno risponde: “Secondo me si potrebbero fare un sacco di progetti nelle scuole. Comuni e servizi sociali potrebbero stare più attenti a chi ha veramente bisogno. Molti chiudono gli occhi di fronte a queste situazioni perché sono difficili”.
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