Il Coordinamento dei centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna manifesta preoccupazione per le conseguenze del decreto Minniti-Orlando sulla vita delle donne migranti
A seguito dell’approvazione definitiva del decreto Minniti-Orlando (cioè la conversione in legge del decreto 13 del 17 febbraio 2017, intitolato “Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale”), il Coordinamento dei centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna vuole manifestare la preoccupazione per le conseguenze sulla vita delle migranti e per la violenza a cui queste donne nuovamente verranno sottoposte.
Le migranti e richiedenti asilo hanno, molto spesso, paure e preoccupazioni diverse da quelle degli uomini: sono sopravvissute a molte forme di discriminazione e violenza maschile, nella sfera pubblica e in quella privata, nel paese dove sono nate, ma anche in quelli dove sono transitate e molte volte nel luogo d’arrivo. Si tratta di violenza domestica, di aborti forzati, della tratta a fini di sfruttamento sessuale, del difficile accesso a un sistema educativo e socio-assistenziale efficiente, di matrimoni forzati, di mutilazioni genitali.
Il decreto Minniti-Orlando è in contraddizione con la Convenzione di Istanbul ratificata dal governo italiano che lo obbliga a riconoscere la violenza contro le donne basata sul genere come una forma di persecuzione ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati. La convenzione di Istanbul stabilisce che siano applicate un’interpretazione e un’accoglienza con servizi e procedure sensibili alle questioni di genere. La legge Minniti viola la Convenzione attraverso l’uso della videoregistrazione dell’audizione in Commissione Territoriale, negando il fatto che le donne richiedenti protezione internazionale possano trovarsi in situazioni di non volere o non potere rivelare gli atti di violenza subiti e negando che essere riprese sarebbe per loro una violenza ulteriore. Quando la paura di raccontarsi è troppo grande, l’unica possibilità è il silenzio. Ma il silenzio rende le donne invisibili e così la violenza contro di loro aumenta: vengono uccise, stuprate, asservite alla tratta e perseguitate. Il forte stampo discriminatorio che scinde i migranti buoni da quelli cattivi, priva tutte quelle donne che non siano state giudicate vittime a sufficienza di un legittimo accesso alla società e a tutti gli strumenti che potrebbero essere loro offerti e garantiti.
Crediamo non sia legittimo delegare alle strutture d’accoglienza i compiti e le procedure di controllo che spettano alle questure e agli altri organi statali, trasformando le operatrici in Pubblici Ufficiali. Come centri d’accoglienza e centri antiviolenza vogliamo continuare ad accogliere attraverso modalità basate sulle relazioni umane e di genere.
Sempre la Convenzione di Instanbul prevede misure legislative per il rispetto del principio di non respingimento (conformi agli obblighi). Come centri antiviolenza vogliamo venga applicato questo diritto per impedire che le migranti e richiedenti asilo siano rinviate in paesi dove la loro vita potrebbe essere in pericolo o dove potrebbero essere esposte a violenze o pene inumane e degradanti solo per il fatto di essere donne. Là dove l’assimilazione è l’unica alternativa all’espulsione si costruisce un modello di accoglienza selettiva che accetta solo una presenza migrante silenziosa e invisibile che rientra pienamente all’interno di quell’ideale normativo politicamente definito come accettabile, ma che esclude tutta l’umanità “differente”.
Criminalizzare tramite strumenti quali il Daspo urbano chiunque non risponda a canoni stereotipati – sulla base di un giudizio del tutto aleatorio fondato sul concetto di “decoro” – è un atto discriminatorio.
I nuovi CPR (centri per il rimpatrio) previsti dalla legge Minniti-Orlando rappresentano un ampliamento di strutture in cui i diritti umani vengono apertamente e continuamente violati, in cui lo spazio per una donna è privo del minimo indispensabile per la sopravvivenza in condizioni dignitose.
Il decreto quindi non fa altro che consolidare un sistema patriarcale con il quale espone le donne migranti ad una maggiore vulnerabilità e violenze, negando loro il diritto di autodeterminazione che esula da etichette e ruoli sociali prestabiliti dai sistemi culturali dei paesi di provenienza e di arrivo.