Abbiamo letto con interesse l’articolo apparso sulla Gazzetta di Modena Una modenese racconta «Io, picchiata e umiliata così ho trovato la forza di uscire da un inferno»“.
Siamo il Centro Antiviolenza dell’Associazione Casa delle Donne contro la Violenza onlus di Modena e ci sentiamo in dovere di intervenire, non solo perchè la Gazzetta è un quotidiano molto seguito nella nostra provincia (ad ora l’articolo ha già superato il centinaio di condivisioni), ma soprattutto perchè per noi è essenziale che l’informazione che ci riguarda sia il più possibile corretta. E’ essenziale, cioè, dire con chiarezza cosa faccia e cosa non faccia un centro antiviolenza aderente alla rete nazionale Di.Re, e in particolare, cosa si fa al centro antiviolenza di Modena.
Concordiamo sul fatto che come centro antiviolenza abbiamo da fare sempre passi avanti, soprattutto perchè le forme della violenza si modificano rapidamente e dobbiamo essere in grado di riconoscerle e contrastarle. Per questo da 25 anni ci mettiamo in discussione ogni giorno.
Come operatrici e volontarie non è facile accogliere donne che subiscono violenza, mettersi al fianco di donne con storie sempre più complesse, in un momento storico come questo in cui ai problemi legati alla violenza s’intersecano quelli economici causati dalla crisi, le difficoltà legate all’abitare ecc. Ma queste per noi non sono giustificazioni, sono motivi per andare avanti, sfide che affrontiamo attraverso la pratica dell’accoglienza basata sulla relazione tra donne. Non siamo psicologhe perchè non pensiamo che una donna che subisce violenza sia tale a causa di alcune sue fragilità strutturali, ma che la violenza maschile sulle donne nelle relazioni di intimità sia solo una delle forme che assume la disparità di potere fra uomini e donne.
Non siamo esperte della violenza, ma siamo donne e tutte ci troviamo a vivere in una società sessista e patriarcale, di cui ognuna di noi, ogni giorno, deve subire le ingiustizie.
Come Operatrici e volontarie affianchiamo la donna nel delineare e realizzare il suo percorso di uscita dalla violenza, riconoscendole prima di tutto le competenze e la forza per farlo. Non esiste un solo modo di uscire dalla violenza, ogni donna decide quale obiettivo raggiungere, con quali tempi.
Consulenze legali, assistenza per l’eventuale denuncia, preparazione dell’ingresso in casa rifugio se necessario, attivazione dei servizi sociali in presenza di figli minori, gestione dell’emergenza con collocazione provvisoria in sicurezza per le donne in immediato pericolo, assistenza per le donne con figli in casa rifugio attraverso il progetto maternità, babysitter, aiuto nei compiti, assistenza per l’eventuale cambio scuola, sono solo alcune delle risorse che vengono messe in campo.
Ogni giorno facciamo i conti con il fatto che non sempre un percorso iniziato si conclude con l’uscita effettiva dalla situazione di violenza, ma continuiamo a tenere le nostre porte aperte, perchè sappiamo che quando ci si trova in una relazione affettiva con il maltrattante capire esattamente la situazione in cui ci si trova non è nè scontato, nè immediato. Continuiamo a lavorare perchè dalle donne che abbiamo accolto abbiamo imparato si possono superare difficoltà enormi in nome della propria libertà personale, che nonostante tutto si può rimanere salde nel desiderio di autodeterminazione.
A volte le cose si incrociano in modo curioso. Sabato sera, un’operatrice e la consulente che si occupa di comunicazione, io, eravamo ospiti di un’iniziativa a Spilamberto dal titolo “Chi ha paura di Barbablù”. Ci siamo presentate e, dopo lo spettacolo che dava il nome all’iniziativa, uno psicologo junghiano, all’interno di un interessante intervento sul rapporto tra fiabe e archetipi, ha accomunato le sorelle della moglie di Barbablù ai centri antiviolenza.
E diciamo che l’analisi non ci dispiace.
Non siamo il papà, siamo la sorella della moglie di Barbablù.
Non salviamo la principessa, diamo alla principessa gli strumenti per salvarsi da sola.
Immagine da womenoclock.com